23/01/11

SINDACO COLPITO DA MISTERIOSA CECITA' NON SI ARRENDE, E MANTIENE L'INCARICO

Il sindaco di Novara si chiama Silvana Moscatelli, ha 67 anni. Mi riceve nel suo ufficio in Comune con una stretta di mano e un sorriso. Sembra un incontro come tanti, nella vita di un cronista: una delle solite interviste. Ma non è vero. Si tratta di un incontro straordinario perché il sindaco di Novara è cieca. L’unico sindaco non vedente d’Italia: «Ce n’era uno anche in un paesino delle Puglie, ma tanti anni fa», racconta.
Per tutta la sua vita, fino alla scorsa primavera, la vista è stata perfetta. La malattia – un buio improvviso che nessun medico è ancora riuscito a spiegare – è arrivata nell’aprile 2010, proprio nei giorni in cui Silvana Moscatelli è diventata primo cittadino di Novara, prendendo il posto di Massimo Giordano, eletto in consiglio regionale. Provo un certo imbarazzo nel chiederle di raccontare la sua storia: ma il colloquio scivolerà via sereno. Anzi alla fine hai la sensazione di avere ricevuto una forza misteriosa, forse anche più coraggio di vivere.
Signor sindaco, cominciamo con i soliti preliminari: la sua storia precedente in poche parole.
«Sono nata a Foligno, mio padre era un generale dell’esercito, sono a Novara da più di quarant’anni. Ho insegnato lettere alle superiori fino al 1993, quando sono andata in pensione e mi sono dedicata alla politica. Sono vedova da dieci anni, ho una figlia – Ilaria – di 38 anni e una nipotina di 5».
Lei fino all’aprile 2010 era assessore al bilancio e vice sindaco. Poi che cosa è successo?
«Dopo le amministrative il sindaco Giordano ha scelto di andare in Regione e abbiamo deciso di evitare nuove elezioni. Da vice, sarei diventata sindaco».
Lei stava bene, in quei giorni?
«Apparentemente benissimo. Il medico mi ordina degli esami di routine. Scoprono che un valore del sangue che si chiama CPK, e che dovrebbe essere al massimo di 270, è di 63.000. Nessun essere umano ha mai avuto un valore così alto: il record, se possiamo usare questo termine, era di un giovane di La Spezia che era arrivato a 43.000. Il medico dice che rischio un blocco renale, e quindi la vita. Mi ricoverano d’urgenza».
Ricorda quando è entrata in ospedale?
«Era un sabato. Mi dicono che la malattia si chiama rabdomiolisi, o qualcosa del genere. Mi attaccano alla flebo per fare il lavaggio dei reni».
La vista?
«Nessuno pensava alla vista. Avevo dieci decimi da entrambi gli occhi. Mai portato occhiali in vita mia, solo per leggere, ma era fisiologico data l’età. Il lunedì comincio ad accorgermi che la vista sta regredendo. Ogni giorno che passava, vedevo sempre meno. Sono andata a casa dopo venticinque giorni e qualcosa intravedevo, diciamo qualche ombra. Poi neppure quelle: più nulla».
Com’è potuto succedere?
«Non lo so. I medici dicono che è un mistero perché gli occhi sono tuttora sanissimi. Forse ho avuto un’infiammazione ai nervi ottici: a tutti e due, e anche questo fatto sembra avere pochissimi precedenti».
Ha deciso di non rinunciare a fare il sindaco.
«E’ chiaro che in quei giorni attorno a me c’era molta agitazione politica. Tutti pensavano che avrei rinunciato. Per dieci giorni sono stata ferma e zitta, mi sono chiusa in me stessa per riflettere. Mi sono chiesta se ero in grado di affrontare un impegno del genere. Le dico una cosa: io ho percepito subito che non sarei guarita. Ma ho pensato che la vita va interpretata secondo le modalità nuove che presenta, e che spesso non dipendono da noi. Ho pensato: se rinuncio, la città viene commissariata e tutto il lavoro fatto non verrà portato a termine. Ho concluso che per Novara era meglio un sindaco non vedente che un commissario».
Com’è la sua vita quotidiana, adesso?
«Entro in Comune alle 8 ed esco alle 19. A mezzogiorno mangio un panino al bar qui sotto. Vado a tutte le manifestazioni, ai dibattiti, alle inaugurazioni. Ormai i novaresi sanno. Mi hanno mandato centinaia di mail e di lettere di stima e di solidarietà».
Nessuno ha eccepito? Nessuno ha detto che una città così grande – Novara ha 103.000 abitanti ed è un capoluogo di provincia! – non può avere un sindaco non vedente?
«Mi dicono che qualcuno, e non solo dell’opposizione, ha contestato, dicendo che gli atti che firmo non possono essere legittimi. Ma la legge mi permette di firmarli. La mia segretaria me li legge e io li firmo. Ho inventato un riquadro di cartone dentro il quale passo la biro e firmo».
Come fa ad avere cognizione di tutto? Sembra impossibile.
«Chi vede non può capirlo, ma la memoria e la concentrazione si affinano moltissimo. Anche la percezione delle presenze: a volte la mia nipotina mi dice nonna, ma tu ci vedi!, perché riesco sempre a capire dov’è. Mi creda, è così. Il 27 settembre in consiglio comunale ho snocciolato a memoria tutti i dati del bilancio, che gli altri vedevano sulle slide».
Davvero non spera più di guarire?
«La speranza c’è sempre, ma sento che anche i medici non ci credono più. Sono stata in Germania e mi hanno detto: signora, è meglio che faccia un corso per non vedenti. La mia forza, mi permetta di dirglielo altrimenti non si capisce, è che è subentrata subito una specie di accettazione. Ho capito che questa nuova situazione andava affrontata aggredendola e impostando una nuova vita».
Chi l’assiste?
«Tanti mi aiutano, naturalmente. Ma ho deciso di continuare a vivere da sola. In casa siamo io e il mio splendido cane, Pippo. Mi lavo, mi preparo la colazione del mattino e mi vesto da sola. Scelgo gli abiti che indosso: li riconosco, e cerco sempre di essere elegante perché non rinuncio alla mia femminilità».
Pippo è un cane per ciechi?
«Ma no, è il cane che avevo già. Le racconto questo. Quando ho capito che avrei perso la vista, i miei primi pensieri sono stati: non vedrò crescere la mia nipotina, e temo di perdere Pippo. E’ un cane che era stato abbandonato in un bosco e legato a un albero, avevo letto la sua storia proprio su La Stampa e l’avevo preso. Ho avuto paura che si sarebbe sentito abbandonato una seconda volta. Le assicuro che anche lui ha percepito la novità, è diventato più protettivo».
Signora, come fa a essere così serena?
«Tutti si stupiscono. L’altro giorno è venuto qui da me uno scrittore novarese per parlarmi di un suo progetto. Non si era accorto che sono cieca. A un certo punto mi ha regalato un suo libro e ho dovuto dirglielo. E’ rimasto interdetto. Mi ha promesso che verrà qui a leggermelo. E quando se ne è andato ha detto: vado via positivamente frastornato».
Lei che cosa – mi scusi ma non trovo un altro verbo – «vede»?
«Buio, nero. Solo buio e solo nero assoluto. Conservo una memoria delle cose che ho visto prima. E qualcosa riesco a immaginare anche delle cose nuove: basta un rumore, un odore… Ad esempio quando ero in ospedale a Tubinga, un posto dove non ero mai stata, mia figlia mi accompagnava a passeggio in città e percepivo, davo forma e figura a qualcosa: un giardino, una strada, una piazza. E’ così. Ma voglio continuare a vivere, non mi arrendo».
L’intervista è finita. Silvana Moscatelli si alza per salutarmi, le sue mani cercano riferimenti in un mondo diventato misterioso. Solo in questo momento si avverte in lei qualcosa che sembra una debolezza. Ma forse è una forza.

di Michele Brambilla, La Stampa

Nessun commento: