I primi anni di vita di Mario Capecchi, lo studioso italo-americano premiato a Stoccolma con il Nobel per la medicina, sono stati drammatici: il ricercatore rimase presto orfano di padre, pilota d'aviazione morto durante la Seconda guerra mondiale. Sua madre, Lucy Ramberg, figlia di una nota pittrice americana e di un archeologo tedesco venne arrestata nel 1941 dalle SS mentre viveva in Alto Adige e venne deportata a Dachau come prigioniera politica.
La donna affidò il bambino, che aveva tre anni e mezzo, a una famiglia di contadini sudtirolesi. Ma un anno dopo il piccolo venne allontanato dalla casa e a cinque anni di età cominciò a vagabondare senza meta. Liberata dagli americani nel 1945, la madre lo ritrovò fortunosamente un anno dopo in un ospedale di Reggio Emilia, ammalato e completamente denutrito.
Madre e figlio si imbarcarono quindi nel 1946 a Napoli per gli Stati Uniti, dove vennero accolti in una comunità quacchera vicino a Filadelfia da un fratello della donna, Edward Ramberg, docente di fisica. All'università il giovane Capecchi seguì dapprima i corsi di scienze politiche, che abbandonò per dedicarsi alla biologia molecolare dapprima al Mit di Boston e poi a Harvard, con il professor James Watson, il padre del Dna. Si trasferì poi all' università dello Utah dove lavora tutt'ora e ha compiuto le ultime scoperte. Oggi vive con la moglie Martine, con la quale condivide l' impegno di ricerca e di attività clinica, e la figlia Misha in uno sperduto cottage vicino a un canyon, dove si è fatto installare una stazione computerizzata per seguire costantemente il lavoro dei suoi collaboratori.
02/12/07
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