16/04/10

I "PENDOLARI DELLA FAMIGLIA"

Antonia ha 14 mesi, e la parola "treno" è stata una delle prime che ha imparato a sillabare. Sofia ha due anni e mezzo e vive tre settimane a Padova e sette giorni a Roma. Paolo e Pasquale, 5 e 6 anni, aspettano il weekend a casa della mamma con ansia e allegria, perché lei abita lontano. Anita invece ha addirittura doppi amici, a Cagliari e a Milano, e viaggia in aereo fin da quando era piccolissima.
Tutti questi bambini non sono vittime di divorzi o separazioni: hanno genitori con cuori uniti ma vite separate, coppie tra i trenta e i quarant'anni con buone specializzazioni e buone professioni, costrette dal lavoro a vivere in città diverse, regioni diverse, a volte, anche in nazioni diverse.
L’Istat li ha definiti i “pendolari della famiglia”. Si tratta di un fenomeno che oggi riguarda in Italia quasi due milioni e mezzo di persone, di cui 650mila formano stabilmente nuclei di "famiglie a distanza", con numeri in perenne crescita, e dove le donne in trasferta sono sempre di più.
Noi vi presentiamo le dichiarazioni di Pietro, 37 anni, che fa l'archeologo e ha un incarico a Roma, la cui compagna Federica (anche lei archeologa) è stata appena assunta alla soprintendenza di Padova: «L'obiettivo è naturalmente ricongiungersi, soprattutto per il bene dei bambini, ma piuttosto che rinunciare ad avere un figlio abbiamo preferito rischiare, pur sapendo che avremmo fatto una vita faticosa e difficile; ma se avessimo ragionato troppo, o aspettato troppo, Sofia forse non sarebbe nata. La nostra vita da pendolari funziona così: dal lunedì al venerdì lavoro a Roma, il fine settimana vado a Padova, mentre per una settimana al mese Federica viene a Roma con Sofia. Per lei è ancora tutto un gioco; ha la casa di Roma, la casa di Padova, i nonni qui, gli altri nonni su, non sembra risentirne. I nonni poi sono fondamentali. Senza il loro aiuto preziosissimo non ce l'avremmo fatta. Certo, non è una formula semplice, è tutto faticoso, costoso in modo pazzesco, un treno che salta è un disastro, ma oggi non ci si può permettere di rinunciare a un lavoro, si deve seguire il lavoro. È il problema della mia generazione: siamo tutti talmente senza certezze che forse l'unica certezza è quella di fare un figlio. E poi di costruirgli intorno una famiglia solida.»

Fonte: La Repubblica

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