14/03/11

LA FEDE SALVA ANCHE IN SALA OPERATORIA

La fede allunga la vita. I credenti ne sono convinti senza bisogno di conferme. Fino a ieri, invece, la comunità scientifica aveva espresso un atteggiamento ambivalente, tra aperture e scetticismo. A ribaltare la situazione arriva uno studio importante, realizzato dall'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, che mostra la relazione tra fede religiosa e probabilità di sopravvivenza all’interno di un gruppo di 179 pazienti, i quali hanno subito un trapianto di fegato.
Secondo lo studio, pubblicato di recente sulla rivista Lover Transplantation, i pazienti che, rispondendo a un questionario dichiaravano di aver vissuto in concomitanza con la malattia un profondo ritorno alla religione e alla spiritualità, hanno registrato un rischio di morte tre volte inferiore rispetto a quanti affermavano di non avere un sentimento di religiosità attiva: «Tra questi ultimi si è registrata una mortalità del 20,5 per cento, mentre nei pazienti sorretti dalla fede in una potenza superiore la mortalità è scesa al 6,6 per cento», dice Franco Bonaguidi, psicologo presso l'Ifc-Cnr di Pisa.
«È come se la scienza fosse vittima di un’amnesia collettiva, quasi una diffidenza invincibile, su questi temi, legata forse al fatto che negli ultimi secoli religione e pratica medica hanno seguito percorsi separati», osserva Bonaguidi. «Per questo mi sembra particolarmente importante che questo studio sia nato all’interno di un’unità operativa ad alta tecnologia, dove però si riscopre il valore del vissuto psicologico dei pazienti».
Non si può negare che l’atteggiamento nei confronti del divino sia un aspetto importante della nostra personalità e non è difficile immaginare che possa influire anche nel nostro rapporto con la malattia: «Non sto dicendo che si possano curare i pazienti con la preghiera», sottolinea Bonaguidi, «ma che l’atteggiamento nei confronti della spiritualità può influire sulla salute di una persona».

Fonte: Vita & Salute

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